Nel quadro delle varie manifestazioni  di Radici Wines, prologhi dell’evento clou di Giugno, ci si è incontrati intorno ad uno dei vitigni porta bandiera della Puglia enologica: il Primitivo, dell’areale manduriano.
In particolare, abbiamo provato in verticale un prodotto dalla Vinicola Savese della famiglia Picchierri di Sava (Ta), alla presenza di Massimiliano Pichierri.

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Il Primitivo, nella sua declinazione manduriana, che era detto anche il vino di Sava o di Lizzano, diventato successivamente di Manduria (TA), oltre che per la stessa produzione locale, anche perché era la stazione ferroviaria di tutto il territorio del Primitivo e da dove il vino partiva. Da qui il nome ormai noto a molti, Primitivo di Manduria, diventato poi DOC e DOCG.
Si… il vino partiva (e sarebbe bello declinare solo al passato), ma non partiva salutato dalla banda del paese e non arrivava tra scroscianti applausi per essere riconosciuto tal quale con tutti gli onori, partiva  furtivo e silenzioso, come facevano anche gli uomini del sud, come un emigrante, come un cafone (ma nella etimologia di Ignazio Silone), inconsapevole e beffato, come lo stesso vino, a dar corpo e colore, sostanza e sostegno ad altri grandi vini, che meglio e prima, balzati alle cronache enologiche, sono stati raccoglitori di premi ed applausi, tutti giustificati, a riprova che l’unione non fa…ma “è” forza. Nulla di nuovo sotto il cielo, fatto salvo che alcuni bisogni di una volta sono diventati sfaccettature endogene del nostro carattere…
Nel frattempo,  prima che le analisi del DNA ci derubi tutta la “poesia” sulle origini dei nostri vini, tra Semi-Dei e conquistatori, tra imperi e colonie, rammentiamo l’ultima parte della storia del primitivo, che si attesta intorno al 1700, quando un uomo di chiesa, don Francesco Filippo Indelicati, notò tra i vari suoi vigneti piantati in agro di Gioia del Colle (BA) uno che maturava prima*, con frutti scuri e dolci, il “Primaticcio”, che rapidamente si diffuse nelle terre limitrofe, Altamura ed Acquaviva (Ba).
La storia poi racconta che la contessa Sabini di Altamura andò in sposa a Don Tommaso Schiavoni di Manduria e nella sua dote, tra le altre cose, portò alcune barbatelle di Primaticcio.
Questo ha permesso a tanti appassionati non solo di godere di questo grande vino, ma di goderne doppiamente nelle due versioni Gioia Del Colle – a circa 400 mt di altitudine, e Mandura – pianeggiante a meno di 20 km dal mare (ed alcuni vigneti sono sul mare).

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Ma andiamo al nocciolo della serata, grande verticale di Primitivo di Sava della Azienda Savese della Famiglia Picchierri.
Quattro generazioni di viticoltori, che il tempo ha reso tutt’uno col Primitivo, una sapienza contadina, una gestione artgiana, una visione futura fatta di pochi compromessi.
Un legame antico con la terra e con questa pianta, un rapporto diretto e passionale, un rapporto di rispetto e vicendevole sostentamento.

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La verticale ha passato in rassegna diverse annate dell’etichetta “Il Sava”, Primitivo di Manduria D.O.C. Dolce Naturale, prodotto a Sava e zone limitrofe, con sistema ad alberello, circa 4.000 piante/ettaro, di 40/50 anni, con una resa dai 40/50 q.li per ettaro. Le uve subiscono un leggero appassimento sulla pianta, poi sono vinificate a temperatura controllata. Il mosto viene messo a maturare ed affinare in parte in contenitori interrati vetrificati ed una parte  invecchia in giare di terracotta (capasoni). Gradazioni alcoliche: 16% vol.to: 19%.

Partiamo  però con la degustazione.

Il giovanissimo 2007

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6 anni lo fanno il più giovane della verticale,  dal colore  granato cupo, unghia rossa vivida. Corpo consistente e lacrime lente. Al naso è possente, una grandissima quantità e concentrazione di frutta rossa matura,
leggeri accenni a ciliegia fresca sotto spirito, fico secco, carrubo (per chi lo ha annusato e mangiato), leggero speziato. Dopo circa 15 minuti fa capolino un distinto tono di liquirizia.
Alla bocca il primo scossone lo si ha con una impressionante consistenza materica, poi si apre e si allunga dando una valanga di frutta rossa matura, prugne, ciliegia e piccoli frutti rossi. Anche la dolcezza non è semplice zuccherosità, ma riporta anch’essa ad una frutta leggermente appassita, ma non gli è permesso diventare stucchevole perché tutto il quadro è sostenuto da un tono di giovane freschezza che tutto equilibria. Lungo, voluminoso e carnoso… se non carnale.

2004
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Un naso bello, elegante, complesso e mutevole nel tempo. Un insieme di frutta rossa, note di macchia mediterranea, poi intriganti e leggere note polverose e di humus, un pò animale che non guasta.
In bocca è corpulento, ma non grasso, di un caldo avvolgente, lungo, con tanta frutta rossa e frutta nera, sulle quali fa capolino un’incantevole freschezza, che infonde grandissima piacevolezza, mette tutto in perfetto equilibrio e  lascia spazio ad una bella nota sapida con essa leggera sensazioni ferrosa. La salivazione ci dà conferma che in bocca il vino si allarga e poi si allunga, trascinando con sé tutto quello già sentito ed aggiungendo un leggero speziato piccante. Bello, bellissimo, infonde felicità.

2000
IMG_3745Qui il naso sembra inizialmente più snello, invece è solo una questione di tempo, di minuti, perché è un continuo mutare. Certo è meno articolato (se paragonato) dei precedenti, ma sempre  appagante.
Alla bocca si presenta con quell’identità propria di frutta rossa matura, con corpo, ciccia, a cui si aggiunge subito una grandissima freschezza. Nel finale arriva la sapidità che gioca a contrasto, con una piacevole leggera vena amarognola.

1984
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Mentre lo si pigiava, nelle sale cinematografiche davano Orwell 1984, ma oggi lui si restituisce a noi con un colore che non mostra l’età.
Un naso, inizialmente chiuso su sé stesso con sole note terziarie ed animali, poi diviene pian piano più accattivante, fino a diventare realmente affascinante in un insieme concertistico di terra, humus, sotto bosco, pellame ma anche frutta rossa, frutta nera in tutte le varianti da fresca a matura.
Il sorso non ha perso nulla di materico, è denso e ricco, ma reso veloce e dinamico da una eccezionale freschezza, che è comune denominatore di tutta la verticale. Meravigliosamente lungo, appagante, bello bello bello.

1979
34 anni (dice #trentaquattro#)
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Già stappare la bottiglia chiede rispetto e delicatezza. Ma una volta aperta tutto cambia, tutto è un continuo mutamento.
Alla vista si presenta l’unico (e ci credo) che ha ceduto… ma neanche troppo per avere 34 anni. Un ristretto nocciolo ancora granato poi il variare di sfumature fino ad un’unghia mattonata, ma pulito e non opaco.
Il naso libera sensazioni terrose opposte, sensazioni polverose e sensazioni di humus, e poi sottobosco e funghi, macchia mediterranea, pepe e speziature varie. In questa giostra fa capolino ancora una sensazione di frutto che guadagnerà ulteriore spazio col passare del tempo dall’apertura.
In bocca dopo tutti questi anni il vino non ha perso sostanza, c’è tanta tanta materia, che stupisce, è schietto, conserva ancora intatte note di frutta matura, di prugna di ciliegia sotto spirito leggermente ossidata , e sensazioni elegantemente liquorose. Simultaniamente è avvolgente e caldo, fresco e sapido. Integro, bello, lunghissimo, elegante.

Capasone  (18 anni)

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Quella bella giara nuova, pagata quattr’onze ballanti e sonanti, in attesa del posto da trovarle in cantina, fu allogata provvisoriamente nel palmento. (Luigi Pirandello – La Giara)
Ovvio e scontato richiamare Pirandello, la sua è una fotografia dell’uso che si faceva in Meridione delle giare (ovvero contenitori per vino, olio, legumi e fichi), e mentre in altre latitudini hanno affascinato ed attratto, e noi al Sud ci eravamo seduti sopra …distrattamente.

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Ma parliamo del vino. Aperto il capasone, si è proceduto con l’aiuto del “mariuolo” (ladro) a distribuire il vino nei calici per questo assaggio sorpresa, occasione per moltissimi unica e rara.
Eccolo, colore rubino intenso, naso di frutti rossi, profumo vinoso, ma anche accenni terziari piacevolissimi. In bocca denso, caldo, morbido, avvolgente con grande nota di freschezza che lo stemperava.

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La particolarità dell’anfora, a differenza del legno, è quella di non trasmettere nulla aromaticamente e soprattutto a livello ossidativo, in quanto non vi è microossigenzione tra il capasone e l’esterno, essendo l’anfora  resa impermeabile da una smaltatura.

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Questo quanto bevuto in verticale durante il momento degustativo.

Fuori dal contesto “verticoso”, e durante la bella cena conviviale che è seguita presso il ristorante Le Giare (tutto a tema!), c’è stata la possibilità di provare una novità dell’azienda Savese: Il Capasonato.

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Bottiglia dalla forma elengantissima, pochi pezzi in vendita, il suo contenuto è prezioso, perché costituito da un blend di due annate (’84 e ’85) provenienti interamente dal contenuto di Capasoni.
Alla vista è scuro con una sottile unghia mattonata. Il naso è ricco ed articolato, vinoso, frutta appassita, fico secco, prugna secca, di grande eleganza, austero, con note terziarie di sottobosco, di tabacco bagnato.
La bocca è piena, carnosa, succulenta. Si viene avvolti da un calore vellutato subito inseguito da freschezza e da sapidità. Si apre su tutta la bocca in larghezza con una nota leggermente speziata, e poi si allunga per durare nel tempo.
Insomma, sono vini – quelli di Picchierri – con una impronta “patriarcale”, una sorta di memoria storica, un modo di operare dettato dall’attaccamento alla pianta e al proprio territorio.

E questa importante verticale è la rappresentazione dei  “recenti” ultimi 35 anni, di uno stile, un  marchio di fabbrica della Vinicola Savese.
Conoscevo una parte di questi vini provati in cantina con i Picchieri (di tre generazioni) in persona, compreso un assaggio dal Capasone grande, ma sono convito che per molti questa verticale è stata una grande esperienza, che ha dato la possibilità di assaggiare uno “stile di ieri” che continua oggi, che ha fatto scoprire sulle proprie papille quanto può invecchiare piacevolmente il Primitivo di Manduria.

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Questi, sono vini e vinificazioni che affascinano, se  affrontati senza “dogmi scolastici”.
Vini con molte espressioni comuni al di là delle annate e quindi della situzione pedoclimatica, con corpi di densità avvolgenti, e caratterizzati da una freschezza, fil rouge di tutte le bottiglie, che ci restituisce una beva impressionante, facendo completamente  dimenticare che è un vino dolce naturale, con uve leggermente appassite e di circa 19 gradi. Un vino che certamente non gioca le sue carte su una beva semplice, ma molto di più sull’affascinamento voluttuoso che sprigiona tra naso e bocca.
Affascinanti, infatti, gli aromi dell’invecchiamento (dove presenti) frutto dell’evoluzione degli aromi primari (qui i polifenoli non incontrano legni di nessun genere, e l’anfora è smaltata e certo non partecipa alle evoluzioni).

Vini per pasticceria secca? Si, ma troppo limitante.
Potrebbero con cacciagione di pelo e di piuma ed ungulati.
Vini da meditazione? Certamente si.

 

*Una curiosità: Non è consentito dal disciplinare della DOC, ma un tempo il Primitivo di manduria dava anche una seconda vendemmia, ottenuta dalle “femminelle”. Finita la vendemmia vera e propria tra agosto-settembre, le piante ancora non dormienti alimentavano i “racemi” (grappoli delle femminelle). Il vino ottenuto da quest’ultimi non è paragonabile al Classico Primitivo, ma era una forma di economia agricola per ottenere un vino da casa e quotidiano.

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